La scorsa settimana ho pubblicato su Instagram e TikTok un video diviso in parti.
Parla di un nuovo progetto di legge approvato in Lombardia, che introduce un patentino obbligatorio per chi detiene alcune tipologie di cani (lo troverete presto anche su Substack).
Una “save list” da 27 razze: Rottweiler, Dogo argentino, Cane corso, Pastore maremmano abruzzese… cani da “salvare” dell'errata gestione umana (e anche sul concetto di salvare sarebbe interessante tornare).
Cosa prevede il progetto?
10 ore di teoria
6 ore di pratica
un test finale (il CAE-1) per valutare il binomio cane-proprietario
e, per chi non supera l’esame, guinzaglio, museruola e indicazioni veterinarie obbligatorie.
Sulla carta, tutto sembra parlare di tutela e prevenzione. Ma basta grattare appena sotto per rendersi conto che, ancora una volta, si parte dalla fine.
Perché questi cani, definiti “a rischio”, finiscono nelle mani sbagliate?
Perché nessuno mette in discussione il modo in cui vengono fatti nascere, venduti, trasportati, assegnati?
Viviamo una crisi sistemica fatta di staffette improvvisate, compravendite online, cani ceduti senza alcuna valutazione del contesto in cui finiranno. Ed è qui che bisognerebbe agire. Prima della formazione obbligatoria. Prima del patentino. Prima del guinzaglio corto.
E non basta una simulazione finale a decretare se un cane sarà davvero ben gestito per il resto della sua vita. Non ci sono CAE-1 che tengano se la convivenza è stata costruita su presupposti sbagliati.
Il patentino, così com’è pensato, rischia di diventare una toppa posticcia: un modo per dire “abbiamo fatto qualcosa” senza toccare i veri nodi.
Non è solo colpa del cittadino. Non tutta, almeno.
Ma è sempre su di lui che ricade il peso della responsabilità, con corsi accelerati che illudono di formare quando, in realtà, certificano solo l’ennesima urgenza non affrontata.